LE PIANTE CARNIVORE - di Marco Oliosi

LE PIANTE CARNIVORE
di Marco Oliosi


SOMMARIO
1-Perché piante carnivore? Come lo sono diventate;
2-Evoluzione;
3-Piante protocarnivore : carnivore a metà! La simbiosi;
4-Dove vivono: l’habitat tipico e impatto ecologico;
5-Cosa mangiano e come?
6-La fotosintesi e il concetto di « carnivorosità »: perché essere carnivore?
7-Metodi di cattura e tipi di trappole;
8-Sistematica: ordini, famiglie, generi e specie, ibridi e cultivar;
9-La riproduzione: gamica e agamica;
10-Substrati, condizioni ambientali e cenni di coltivazione;
11-Malattie e parassiti: cenni;
12-Lotta biologica e integrata;
13-CITES e LISTA ROSSA IUCN, cenni;
appendice-L'agricoltura del futuro

LE PIANTE CARNIVORE


1 - PERCHE' PIANTE CARNIVORE?nepenthes nebularumpng
foto 1- Nepenthes nebularum
Sono impropriamente chiamate carnivore, realisticamente esse si nutrono soprattutto di insetti e dovrebbero quindi essere definite INSETTIVORE.
In effetti esiste un genere:Nepenthes (ordine Nepenthales ), che vanta oltre 150 specie, molte delle quali traggono nutrimento anche da vertebrati (piccoli mammiferi, rettili, uccelli) caduti negli ascidi (le trappole) che arrivano ad una capacità fino a poco meno di 2 litri.
Molte specie posseggono enzimi in grado di digerire anche le ossa. In coltivazione sovente si rinvengono all’interno delle trappole carcasse di lucertole.

CARNIVORE NEL MONDO

Sono piante (quasi 700 specie) che hanno colonizzato tutto il globo, ad eccezione dei deserti e dei poli. Si possono trovare in zone tropicali e sub tropicali, ma la maggior parte delle specie conosciute sono originarie di zone temperate, anche in quota fino a oltre 2000 mt di altitudine.
In Italia ne esistono poco meno di una ventina di specie, appartenenti ai generi Pinguiculae (Pinguicula) Droseraceae (Drosera e Dionaea ) e Utricularia.
Le piante carnivore temperate sono generalmente piante erbacee perenni, con un ciclo vegetativo che comprende un riposo invernale; le specie tropicali sono invece generalmente a vegetazione
persistente. Alcune specie sono annuali.
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foto 2 - Pinguicula vulgaris (arco alpino italiano) 
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foto 3- Utricularia vulgaris (torbiere del lago di Iseo)

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foto 4 - Aldrovanda vesiculosa (fontanili e sorgive pianura Padana superiore)
ESTINTA IN ITALIA


2 - EVOLUZIONE
Breve premessa:
Charles Darwin, il padre della teoria evolutiva, definiva la Dionaea muscipula «la pianta più meravigliosa del mondo». Egli nel 1878, 16 anni dopo la pubblicazione de «l’origine delle specie», pubblica il suo studio (il primo vero sulle carnivore, effettuato applicando il metodo scientifico) «the insectivorous plants ».
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foto 5 - la copertina della prima edizione

Le carnivore sono paragonabili, dal punto di vista vegetale, alle popolazioni di fringuelli delle isole Galapagos, utilizzati da Darwin per enunciare la teoria evoluzionistica.
Sono piante che mangiano animali e per alcuni oggi come in piena epoca vittoriana, è un fatto quasi inimmaginabile; per tutti è sicuramente una grande curiosità.

Analisi genetiche e lo studio dei pochi frammenti fossili ritrovati, fanno supporre che la loro evoluzione sia iniziata intorno ai 45 50 milioni dianni fa. Tutte le carnivore sono angiosperme ed è interessante notare come, geneticamente parlando, generi e specie fisicamente distanti si siano evolute in modo simile (questo fenomeno è detto CONVERGENZA EVOLUTIVA).
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foto 6 - schizzo di Archaeamphora longicervia, pianta carnivora (?) ancestrale di cui sono stati ritrovati rarissimi resti fossili.

Ma perché?
L’evoluzione non è altro che la risposta di una data specie, che muta (si adatta) al mutare
dell’ambiente.
Se l’ambiente cambia, si trasforma, le forme viventi si trasformeranno con esso; diversamente, la pena è l’estinzione.
Ad onor del vero la teoria evoluzionistica di Darwin, a tutt'oggi universalmente riconosciuta dalla comunità scientifica internazionale non è semplicemente questa, ma racchiude decine di altri assunti scientifici riguardanti vari aspetti: dalle modalità di trasmissione dei caratteri genetici, alle fluttuazioni demografiche, la deriva genetica, le mutazioni casuali e molti altri.

3 - EVOLUZIONE: LE PROTOCARNIVORE
Habitat ed esseri viventi sono in continuo cambiamento. Esistono piante che pur non essendo completamente carnivore, ne presentano alcune caratteristiche. Il loro livello evolutivo intermedio, ci permette di intuire una loro trasformazione strutturale completa (in tempi brevi dal punto di vista evolutivo). Esse sono le piante protocarnivore. Alcune sono in grado di attirare e catturare
ma non di digerire, altre catturano o digeriscono soltanto, alcune hanno già l’aspetto di una pianta carnivora, altre sono insospettabili.
Ne esistono moltissime ma prenderemo solo 2 esempi emblematici: la prima assolutamente insospettabile, l’altra che sembra già una carnivora a tutti gli effetti: Plumbago auriculata e Roridula gorgonias
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foto 7 - Plumbago auriculata

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foto 8 - Roridula gorgonias in habitat (SudAfrica)

L’INSOSPETTABILE - Plumbago (fam. Plumbaginaceae)
è un bellissimo arbusto perenne dai fiori azzurri comunissimo nei nostri giardini, esso presenta peli appiccicosi che ricoprono le strutture sub-fiorali e che sono in grado di invischiare insetti di piccole dimensioni. Per la pianta questa è una forma di difesa dai
parassiti. Essa è in grado di catturare insetti ma non di trarne nutrimento (attira e cattura). Si ipotizza che in futuro possa diventare una carnivora completa, non appena sarà in grado di produrre enzimi atti alla digestione delle prede.
UNA «FALSA» CARNIVORA - Roridula gorgonias (fam. Roridulaceae )
è un arbusto perenne sudafricano che sembra a tutti gli effetti una pianta carnivora: presenta grosse gocce di colla vischiosa su tutte le superfici compresi i fiori. Essa può solo attirare e catturare gli insetti ma non è in grado di digerirli. Per
farlo si serve di un altro insetto, la Pameridea Pameridea roridulae ) un emittero (parente di afidi e cocciniglie) che vive esclusivamente sulla pianta stessa. Questo è un perfetto esempio di SIMBIOSI.

EVOLUZIONE- SIMBIOSI: Roridula gorgonias e Pameridea roridulae
Gli insetti catturati vengono mangiati da Pameridea, la pianta assorbe le feci (già digerite) dell’insetto nutrendosi a sua volta. Ma come fa la Pameridea a non restare invischiata nella colla della pianta? Essa si è evoluta producendo una sostanza grassa che ne avvolge le zampe e il corpo e che impedisce alla colla di fare presa su di essa, l’insetto può cosi scorrazzare liberamente lungo la pianta pasteggiando con gli insetti che essa cattura.
Questa simbiosi è specializzata a tal punto che la pianta non sopravviverebbe senza insetto, e
viceversa.
Pameridea roridulaejpgfoto 9 - Pameridea roridulae

foto 10 - Pameridea che preda una mosca catturata dalla pianta
pameridea e moscajpg

4 - HABITAT- la torbiera

In generale gli ambienti adatti sono luoghi estremamente umidi, acidi, poveri di azoto e altri minerali.
L’habitat più comune è la torbiera acida, a clima temperato, con acque quasi stagnanti e terreni paludosi. Il substrato è composto da torba bionda acida costituita da materiali vegetali morti e indecomposti (soprattutto sfagno, ma anche giunchi, carici, ericacee, felci, ecc..)
L’acidità impedisce un’efficiente attività di degradazione della sostanza organica da parte dei batteri, ciò comporta la scarsità di elementi minerali. Per vivere e prosperare in questi ambienti le piante non possono fare affidamento sulla fertilità del terreno.
Perciò, nel corso di milioni di anni, si sono gradualmente trasformate allo scopo di sfruttare ciò che in quegli ambienti è più comune: gli insetti.

TORBIERA ACIDA e TORBA
È un habitat naturale, con un ecosistema all’apparenza semplice: piante pioniere che si adattano alla scarsità di nutrienti e piccoli animali.
In torbiera vi sono condizioni bio-chimiche particolari: terreni fradici e asfittici (con poco ossigeno) e acidità elevata (pH 3-4).
Questo fa sì che l’attività dei batteri sia molto limitata impedendo la decomposizione di organismi morti. La torba, costituita da questi residui organici, presenta quindi un grado di decomposizione
molto basso (indice di Von Post), una significativa acidità e una salinità (conducibilità elettrica) estremamente bassa.
La torba viene classificata in funzione del grado di decomposizione e conseguentemente delle caratteristiche fisico chimiche:
TORBE BIONDE: molto acide e quasi indecomposte (Von Post H1 H2);
BRUNE: mediamente acide e parzialmente decomposte (H3 H5);
NERE: poco acide o neutre e molto decomposte (=>H6).

SFRUTTAMENTO DELLA TORBIERA e IMPATTO ECOLOGICO
I depositi di torba si trovano in varie parti del mondo: Nord Europa, Nuova Zelanda e Nord America settentrionale e nel Sud degli USA. Circa il 60% delle zone umide della Terra è costituito da torba.
Le torbiere rappresentano circa il 3% delle terre emerse (circa 4 milioni di Km quadrati) e contengono circa 550 miliardi tonnellate di carbone, inoltre la valenza ecologica dell’ecosistema è di enorme importanza, pertanto lo sfruttamento delle torbiere, nell’ultimo decennio, è diminuito spingendo i produttori ortoflorovivaisti a ricercare prodotti alternativi per la fabbricazione dei terricci. Attualmente in Europa la torba commercializzata proviene esclusivamente dalle repubbliche Baltiche, Estonia in testa.
Sostituire la torba non è semplice, i prodotti alternativi attuali (fibra di cocco, corteccia,
fibra di legno, compost verde, inerti, ecc in alcuni casi presentano impatti ecologici
maggiori (fibra di cocco) oppure caratteristiche chimico fisiche peggiori (bassa fissazione dell'azoto, salinità e pH elevati, bassa capacità di trattenere acqua).
Le soluzioni attuali prevedono mix di torba e altri prodotti ma la ricerca progredisce costantemente per trovare nuove soluzioni.
Fra pochi anni lo sfruttamento delle torbiere sarà definitivamente vietato (molti paesi europei hanno già provveduto in proprio a vietarne l’utilizzo dichiarando le torbiere riserve naturali).

CARATTERISTICHE DELLA TORBA BIONDA di SFAGNO
La torba bionda acida che è presente nelle torbiere alte (zone alpine, zone continentali fredde come nord Europa e Canada) è detta «di sfagno».
Lo sfagno è una briofita (muschio), i muschi sono vegetali primitivi che non possiedono tessuti
vascolari, l’acqua viene quindi convogliata nella pianta per capillarità.
Lo sfagno è un muschio a fibra lunga, la parte apicale continua a crescere e svolgere fotosintesi
mentre la parte basale muore e, a causa della mancata decomposizione, va a formare la massa di
torba.
La torba bionda acida di sfagno presenta quindi un pH fra 2 e 4; sostanza organica oltre il 90%; e
bassissime quantità di sostanze minerali (per esempio l’azoto presente è inferiore allo 0,2%).

TORBIERA E PIANTE PIONIERE
Le piante che crescono in torbiera sono considerate «pioniere» perché vivono in terreni quasi sterili e privi di ossigeno, saturi d’acqua.
Fra queste, le piante carnivore sono le più specializzate perché si sono adattate a sopravvivere in un modo completamente nuovo per un vegetale. Si sono modificate strutturalmente, per acquisire in altro modo quei minerali (azoto, fosforo, potassio, ecc.) altrimenti non utilizzabili.
Accanto ad esse, in torbiera prosperano altre piante poco esigenti come carici, eriche, felci, ecc..

5 - ADATTARSI PER SOPRAVVIVERE
Per una pianta carnivora non è sufficiente saper catturare un insetto, deve anche digerirlo.
Per far ciò ulteriori adattamenti dei tessuti permettono l’assorbimento delle sostanze organiche di cui è fatta la preda.
Tutte le carnivore catturano insetti grazie a organi particolari, le trappole, che si sono originate
dalla trasformazione di strutture preesistenti (foglie, radici, ghiandole).
Le trappole più comuni, quelle a sacco (ascidio) e adesive (a colla) derivano le prime dalla modifica della foglia che si è richiusa e saldata a formare appunto una sorta di sacco, le seconde dalla trasformazione dei peli fogliari che hanno acquisito la capacità di produrre un nettare vischioso atto a trattenere la preda. Allo stesso modo le trappole a scatto, ad utricolo e a nassa si sono originate rispettivamente da modifiche di foglie, radici e cauli.

DEFINIZIONE DI PIANTA CARNIVORA
Come possiamo distinguerla rispetto alle altre centinaia di migliaia di specie vegetali che popolano il globo, e soprattutto: come possiamo definire tutte le piante carnivore in funzione di quello che hanno in comune?
Una pianta è da considerare carnivora quando è in grado di svolgere TUTTE e TRE queste azioni sulla preda: ATTIRARLA, CATTURARLA, DIGERIRIRLA.

COME MANGIA UNA PIANTA CARNIVORA?
La digestione avviene per mezzo di enzimi digestivi che «sciolgono» i tessuti interni dell’insetto dando luogo a sostanze semplici come amminoacidi e sali minerali, le quali vengono assorbite
attraverso strutture derivanti da stomi modificati.
Le radici, dal punto di vista nutrizionale, perdono la loro importanza primaria, diventando necessarie solo per l’assorbimento idrico e per la funzione di sostegno e ancoraggio al suolo.
I fluidi digestivi ricchi di enzimi (proteasi , fosfatasi, ribonucleasi, ecc.) sono prodotti dalla pianta stessa ad opera di cellule preposte, oppure da batteri presenti nella trappola. Alcune specie, sfruttano l'azione sia dei propri enzimi digestivi, sia di enzimi di natura batterica.
Grazie alla digestione delle prede, le piante carnivore sono capaci di assorbire nutrienti per la loro crescita, fra cui sali minerali e azoto in forma organica (peptidi).
La definizione corretta: «piante insettivore» lascia supporre le prede: ditteri, imenotteri, coleotteri, lepidotteri, emitteri soprattutto. Le vere carnivore, le Nepenthes , si nutrono ANCHE di vertebrati, in verità catturati casualmente, come piccoli roditori e rettili.
LE PREDE
Possiamo senz’altro affermare che le carnivore si siano evolute fino a trarre vantaggio da ciò che sulla Terra è obbiettivamente estremamente abbondante: gli insetti.
Molte specie presentano una spiccata preferenza verso alcuni specifici insetti, altre sono meno selettive.
Inoltre, in alcuni casi, il target varia in funzione della stagione, per es. Sarracenia cattura all’inizio della primavera soprattutto ditteri e imenotteri, per via via passare all’autunno dove cattura principalmente lepidotteri.

6 - FOTOSINTESI E CONCETTO «DI CARNIVOROSITA’»
La fotosintesi clorofilliana, è il processo biochimico svolto dalle piante verdi volto a produrre ENERGIA (zuccheri) necessari al sostentamento cellulare delle piante.
Essa prevede 2 fasi: FASE LUMINOSA in cui stante l’azione catalizzatrice dei raggi luminosi(spettro del rosso e blu-violetto), CO2 e H2O vengono combinati a formare composti di carbonio. La FASE OSCURA (detta anche CICLO DI CALVIN) comporta l’organicazione del carbonio e la produzione non solo di altri zuccheri ma anche di grassi, amminoacidi, altre sostanze varie quali ad esempio le sostanze aromatiche e gli alcaloidi.
Le piante si suddividono in tre gruppi in funzione del tipo di fotosintesi che svolgono: C3(piante
in climi temperati), C4(climi caldi e bassa disponibilità idrica) CAM(piante in climi estremi quali i deserti).

CARNIVOROSITA’
Le piante carnivore vivono generalmente in luoghi temperati o sub-tropicali, soleggiati e umidi; esse non sono in grado di svolgere efficientemente la fotosintesi perché le loro foglie hanno
subito sostanziali modifiche strutturali. Inoltre i minerali nel suolo sono scarsissimi.
Anch’esse però necessitano di zuccheri, azoto e di tutti le altre sostanze, la soluzione è fare
fotosintesi non quando la luce è più intensa (per esempio in piena estate), bensì quando l’insolazione è più debole ossia nelle stagioni intermedie (autunno e inizio primavera).
In questo periodo molte carnivore producono solo foglie, spesso trappole non formate (fillodi), allo scopo di essere più efficienti in termini di fotosintesi.
Nelle piante «normali» la fotosintesi è tanto più efficiente quanta più luce è disponibile (fino ad un limite fisiologico dettato dalla labilità all’ossigeno della proteina RuBiSCO).
Alla luce di ciò, il concetto di carnivorosità ci permette anche di conoscere il grado carnivoro delle piante, ossia quanto sia efficiente una pianta carnivora comportandosi come tale rispetto ad un’altra: più una pianta investe energie per la cattura di prede, meno è efficiente fotosinteticamente parlando.
Quindi una Dionaea con trappola in movimento (a scatto) è più carnivora di Drosophyllum che utilizza trappole statiche (adesive).

ESSERE CARNIVORE CONVIENE?
Quasi mai, ad eccezione di piante che vivono in luoghi luminosi e poveri di nutrienti e solo se tali
condizioni non migliorano. È per questo che le piante carnivore, per quanto molto diffuse, vivono in habitat con areali molto limitati e presentano un grado di specializzazione estremamente elevato.

Da notare che nei mesi estivi la presenza di insetti è abbondante e questo ci fa intuire ancora una volta, la spinta evolutiva subita nel tempo dalle piante carnivore: in primavera e autunno ore di luce e insetti scarsi = la pianta svolge più fotosintesi; in estate molte ore di luce e molti insetti = la pianta si nutre meglio e di più catturando insetti; infine, in inverno vi è il riposo vegetativo con dormienza nelle piante temperate (non servono luce e/o prede).
Per le piante tropicali, dove le condizioni ambientali cambiano pochissimo, l'attività fotosintetica e di cattura delle prede procede su livelli pressochè costanti per tutto l'anno.

7 - I METODI DI CATTURA
La specializzazione estrema ha permesso la formazione di diversi tipi di trappole che pur avendo
aspetti diversi, sono atte allo stesso scopo (convergenza evolutiva), cioè catturare le prede e in
seguito digerirle.
Conosciamo 5 tipi di trappole:
AD ASCIDIO: foglie ripiegatesi su se stesse a formare un vaso aperto alla sommità;
ADESIVE: peli fogliari modificatisi a formare ghiandole produttrici di colla zuccherina ed enzimi;
A SCATTO: vere e proprie trappole a tagliola con peli a fare da sistema di scatto;
AD UTRICOLO: estroflessioni delle radici a formare palloncini sottovuoto che risucchiano le prede che toccano i peli grilletto;
A NASSA: proprie di piante che hanno perso la capacità di formare cauli e radici e foglie le cui
appendici a forma di nassa catturano microscopici microorganismi nel terreno.

nota: le TRAPPOLE A SCATTO rappresentano la specializzazione massima a livello evolutivo per una pianta carnivora.

8 - SISTEMATICA VEGETALE
La sistematica vegetale è una branca della botanica che si occupa di studiare la diversità degli organismi viventi vegetali che recentemente definisce anche le relazioni evolutive della sistematica moderna. Vige anche il concetto di SOTTOSPECIE, categoria inferiore alla specie che deve essere geneticamente fissata a scapito dell’ambiente in cui la pianta cresce; esistono anche forme e varietà.
Ogni specie viene indicata con un binomio specifico scritto in corsivo (nome del genere + suffisso specifico, il primo con iniziale maiuscola, il secondo minuscolo) la sottospecie (e/o varietà e/o forma) viene indicata come terzo nome, per esempio: Sarracenia flava var cuprea.

ALTRE DEFINIZIONI DI SPECIE:
In biologia ci sono altri concetti di specie che si basano su proprietà distinte:
a- Specie BIOLOGICA, costituita da "popolazioni di individui in grado di incrociarsi fra loro effettivamente o potenzialmente per produrre una discendenza a sua volta fertile, isolate da altre popolazioni simili “.
Questa definizione tuttavia non è molto applicabile al mondo vegetale dato che qui le barriere sessuali sono labili.
Circa il 70% delle specie vegetali sono infatti ibride. In alcuni casi le piante si autofecondano per diffondere la specie e dunque è difficile dimostrare l’interfertilità. Le piante possono anche riprodursi per diverse vie asessuate;
b- Specie EVOLUTIVA, per gli evoluzionisti la specie è una sequenza di popolazioni che discendono da un progenitore comune e che si evolvono separatamente da altre popolazioni simili in un certo luogo e per un certo periodo di tempo.

FAMIGLIE E GENERI
Le famiglie e generi più conosciuti e coltivati sono:
Sarraceniaceae(nei generi Sarracenia , Darlingtonia , Heliamphora);
Droseraceae (gen. Dionaea e drosere);
Nepenthaceae(tutte le Nepenthes);
Lentibulariaceae (gen. Pinguicula , Utricularia e Genlisea ).
Cito altri generi, non meno importanti: Drosophyllum , Cephalotus , Roridula ,
Aldrovanda , Brocchinia.
Sul pianeta sono complessivamente presenti 18 generi (forse 19) raggruppati in 11 famiglie.

IBRIDI
All’interno di alcuni generi è possibile incrociare (naturalmente o per mano umana) specie diverse allo scopo di originare ibridi, come per esempio in Sarracenia.
Alcune sarracenie ibride naturali sono state rinvenute in luoghi (habitat naturali) dove popolazioni di specie diverse si sovrappongono.
Gli ibridi sono individui prodotti dall’incrocio fra specie diverse (interspecifico), fra generi diversi (intergenerico) o fra sottospecie diverse (intraspecifico).
Supponiamo quindi di avere due esemplari appartenenti a specie diverse: Sarracenia flava e S. leucophylla; se utilizziamo il polline di quest’ultima (genitore maschile) per impollinare un fiore di S. flava (genitore femminile), otterremo un ibrido semplice di costituzione S. flava × S.
leucophylla (= S. × moorei).
Si può invertire l’ordine dei genitori: la pianta che produrrà i semi (genitore femminile) dovrà essere sempre indicata prima del genitore maschile. il segno di moltiplicazione “×” (cross), presente in ogni formula, può essere indicato anche tramite una “x” minuscola.
Quando il sesso dei genitori di un ibrido non è conosciuto, è preferibile mettere i nomi delle specie in ordine alfabetico.
Anche gli ibridi di sarracenia sono fecondi, è possibile cosi ottenere incroci anche molto complessi, comprendenti linee genetiche di più di 2 specie.

CULTIVAR
Sono piante selezionate dall’uomo all’interno di un’unica specie (come per esempio avviene per le razze canine mediante incroci successivi); sono esemplari riprodotti per via agamica allo scopo di fissare determinate caratteristiche fisiche ( FENOTIPO ) di quella pianta.
Le cultivar possono avere diversa origine: incroci fra generi famiglie e specie diversi; autoimpollinazione, mutazioni casuali (naturali) o indotte artificialmente.
Una volta fissato un cultivar, dalla pianta originaria si ottengono esemplari identici ( CLONI ) con metodi esclusivamente per via AGAMICA (da meristema, divisione, talea, ecc..)

ESEMPIO DI CULTIVAR: DIONAEA MUSCIPULA
La specie Dionaea muscipula possiede un determinato pool genetico (GENOTIPO) comune a tutte le dionaee (sia selvatiche che appartenenti a qualsiasi cultivar), in pratica il DNA proprio di questa specie.
Alcuni geni del genotipo determinano precise caratteristiche fisiche (FENOTIPO) che possono o meno manifestarsi; nell’ambito dei CULTIVAR avremo quindi dionaee di aspetto diverso; il nome del cultivar è deciso dal selezionatore dopo attenta analisi dell'organo internazionale preposto (ICPS) allo scopo di escludere eventuali somiglianze con altri cultivar già registrati.

9 - LA RIPRODUZIONE
Può effettuarsi secondo 2 vie:
1- Sessuale (o gamica), con l’intervento dei gameti femminile e maschile durante la fioritura, e la
conseguente produzione di semi.
2- Assessuata (o agamica), che può essere naturale o artificiale, secondo diversi aspetti: per divisione, talea, micropropagazione.

LA RIPRODUZIONE SESSUALE o GAMICA (da seme)
Comporta l’unione dei gameti maschile e femminile; avviene in natura fra individui della stessa specie o, come nel caso di Sarracenia , laddove vi siano popolazioni diverse con areali
sovrapposti, fra individui di diversa specie con la formazione ibridi (prole con individui INTERSPECIFICI)
La si può effettuare artificialmente, quando si vogliono produrre ibridi con determinate caratteristiche (piante più colorate, vigorose, ecc..) prelevando polline dal fiore del soggetto paterno per fecondare l’ovario del fiore di un altro esemplare (materno).

LA RIPRODUZIONE ASSESSUATA o AGAMICA
Al contrario di quella sessuale, la riproduzione agamica non prevede la fecondazione.
I nuovi individui sono CLONI della pianta madre, cioè presentano un codice genetico identico
all’unico genitore. Può avvenire naturalmente, ad esempio con pezzi di rizoma che si staccano dalla pianta madre e danno origine a nuovi individui, oppure foglie che si staccano e radicano spontaneamente sul terreno.
L’uomo sfrutta la capacità delle piante di clonarsi facendo talee (da foglia, stelo fiorale, radice), tagliando i rizomi, oppure in modo più sofisticato, coltivando cellule meristematiche in ambiente sterile e controllato (MICROPROPAGAZIONE in vitro).

10- COLTIVARE LE PIANTE CARNIVORE
Per avere successo in coltivazione è bene tenere presenti alcune cose:
-Rispettare il pH acido e la scarsa salinità del terreno utilizzando substrati e acqua di irrigazione idonei;
-Tenere conto delle diverse caratteristiche ambientali di ogni determinato genere: luce, temperatura, umidità, irrigazioni e ricircolo d’aria dosate secondo le stagioni e le esigenze specifiche;
-Curare l’igiene quindi: usare vasi nuovi o lavati e disinfettati, usare substrati sani e nuovi, disinfettare gli attrezzi da taglio prima dell’uso, isolare dalle altre le piante che siano o si sospettano malate le quali vanno curate tempestivamente;
-Non concimare, almeno per i neofiti (alcuni coltivatori esperti in possesso di conoscenze specifiche utilizzano concimi a base di amminoacidi o a lenta cessione);
-Non dare loro prede che non siano insetti (possibilmente vivi) e, per la Dionaea , non far chiudere le trappole a vuoto, pena il deperimento grave della pianta.
-Non usare vasi troppo grandi (errore molto comune) ed effettuare rinvasi regolari a cadenza annuale (solitamente da farsi nel periodo novembre-marzo), trapiantandole e/o dividendole nel momento giusto (durante il riposo vegetativo);

Sono importanti anche altri fattori: acquisire nozioni, osservare le piante, porre in relazione le esigenze della pianta con le nostre condizioni di coltivazione, l'esperienza acquisita, sono solo alcune delle tante competenze utili.
A mio avviso prima di tutto ciò è necessario possedere passione e impegno che ci permetteranno di raggiungere la giusta sensibilità da coltivatore necessaria ad ottenere grandi soddisfazioni!

IL SUBSTRATO PER LE CARNIVORE
Il substrato di coltivazione dovrebbe essere, dal punto di vista chimico e fisico, il più possibile simile ai suoli presenti negli habitat tipici delle piante carnivore.
E' però molto importante tenere presente che il comportamento di una pianta in vaso può essere molto diverso rispetto ad una simile che vive in habitat, dovremo quindi applicare piccoli ma necessari aggiustamenti nella composizione del mix che andremo a usare.
Il materiale d’elezione è un mix di torba bionda acida di sfagno con l'aggiunta di perlite.
La torba bionda acida di sfagno deve avere queste caratteristiche chimiche: pH <=3,5; contenuto di N <0,2%; sostanza organica >90%, indice di Van Post (grado di humificazione) °H1 o °H2; fisicamente deve possedere fibre sufficientemente grandi da permettere una buona areazione. La perlite si usa in percentuale variabile fra il 25 e il 50% e serve per arrieggiare un substrato che in vaso potrebbe diventare asfittico (assenza di ossigeno) con conseguenti problemi a livello radicale.

SUBSTRATI ALTERNATIVI
Come accennato prima, in futuro la torba sarà sempre meno disponibile, pertanto già da qualche anno numerosi coltivatori stanno sperimentando substrati alternativi, con percentuali di torba inferiori o addirittura assenti.
Corteccia di pino, vermiculite, fibra di cocco, sabbia di quarzo, lapillo e
pomice, lolla di riso, sfibrato di legno, ecc.. Sono tutti materiali impiegati con successo in
percentuali variabili e secondo le esigenze di singole specie.

LE CONDIZIONI AMBIENTALI
Sul pianeta le condizioni climatiche sono molto diverse, in funzione delle stagioni, altitudine e latitudine. Tutte le piante superiori, specificamente all’habitat di appartenenza, crescono e si riproducono in condizioni ottimali.
Possiamo elencare le principali: la LUCE, la TEMPERATURA, l’UMIDITA’ del terreno e dell’aria
-LA LUCE
La quantità di luce solare cheirraggia il globo varia infunzione delle stagioni e della
latitudine: per esempio piante che vivono nella fascia tropicale riceveranno molta più luce
rispetto a quelle in ambienti temperati.
Inoltre vi sono nicchie ambientali particolari come per esempio vallate all’ombra di alte montagne,
oppure radure aperte adiacenti a foreste tropicali, tutto ciò ci fa comprendere come il grado di
luce possa essere estremamente variabile anche in zone vicine.
Le carnivore temperate vivono in palude/torbiera e altri luoghi umidi in ambienti aperti e quindi alla piena luce solare: sarracenie, dionaee, drosere temperate, sudafricane e pigmee, pinguicule europee e messicane, drosofillo, heliamphore.
Quasi tutte le Nepenthes, le drosere del Queensland, molte utricularie e genlisee, preferiscono esposizioni luminose ma solo parzialmente esposte alla luce solare diretta.
Sono pochissime le carnivore che invece crescono all’ombra, citiamo il Triphyophyllum peltatum, una carnivora di recentissima scoperta che vive nel sottobosco della foresta pluviale centrafricana.
-LA TEMPERATURA
Anche il grado termico è condizionato dalle stagioni e dalla latitudine ma non solo: altitudine ed eventi climatici costanti (per es. la corrente del Golfo) condizionano le temperature. Le tropicali saranno invece soggette generalmente a temperature costanti o comunque con lievi scostamenti.
Tutte le temperate vivono alle nostre latitudini subendo forti sbalzi termici fra le stagioni, vanno tenute all’esterno e al sole tutto l’anno in quanto necessitano del riposo vegetativo.
Le sub-tropicali preferiscono temperature minime invernali che non scendano sotto lo zero termico, possono essere coltivate in condizioni anche molto variabili, secondo le varie specie.
Le tropicali gradiscono temperature costanti (relativamente alte) e devono svernare in casa
con minime che non scendano sotto i 14°C. In estate non vi sono problemi in coltivazione in
quanto sopportano tutte temperature elevate a condizione che l’umidità relativa sia elevata.
-L'ACQUA (UMIDITA')
Le carnivore sono considerate piante paludose che necessitano di enormi quantità d’acqua, la qualedeve avere caratteristiche tali da rispettare il pH acido e la bassissima salinità idonei al loro
benessere. Non deve quindi contenere sali minerali se non in quantità trascurabili.
Le acque idonee in ordine di purezza sono: piovana, da osmosi inversa,demineralizzata. La piovana va raccolta dopo almeno mezz’ora dall’inizio della precipitazione in modo che sia libera da polveri e smog; l’acqua da osmosi si reperisce nei negozi di acquariologia o si può produrre in proprio mediante un piccolo impianto a osmosi; la demineralizzata è quella che si usa per il ferro da stiro; attenzione a non usare quella per uso alimentare perché contiene sali a noi
necessari ma che possono essere velenosi per le carnivore.
Anche l'umidità relativa dell'aria è importantissima: generalmente vale la regola del" piu' è umido e meglio è" con le immancabili dovute eccezioni. E' importantissimo però sapere che nel caso di coltivazioni in ambienti chiusi e/o ristretti, è necessario arrieggiare spesso per evitare possibili insorgenza di muffe patogene.

11 - PARASSITI E MALATTIE DELLE PIANTE CARNIVORE
Anche le carnivore si ammalano, delle stesse avversità che affliggono altre piante.
Molti insetti fra cui afidi, cocciniglie, cavallette, si nutrono delle piante succhiando linfa o divorando i tessuti; malattie fungine fra cui oidio, pythium, fumaggine colpiscono foglie e trappole, radici e rizomi.
Quando una pianta è malata è necessario agire tempestivamente con prodotti fitosanitari specifici.
Intervenire in tempo, specialmente per malattie come pythium, permette di salvare la pianta.
È importante che le piante malate siano isolate: spesso si tengono molte carnivore insieme in un unico sottovaso, questo fa si che sia più facile per una pianta infetta, contagiare quelle vicine.

12- LOTTA BIOLOGICA E INTEGRATA
Negli ultimi anni, a livello mondiale ed europeo, si stanno approntando protocolli d'intervento in campo fitosanitario che prevedono il gradale abbandono di molte sostanze chimiche di sintesi (principi attivi) considerate dannose per la salute e per gli ecosistemi. Assumono cosi vitale importanza tutta una gamma di sostanze naturali bio ed ecocompatibili, alcune conosciute da decenni ma poco usate finora, altre di recente studio. Anche la lotta integrata, con l'utilizzo di organismi antagonisti di malattie e parassiti assume la stessa importanza; di pari passo si sta sviluppando anche la consapevolezza nell'utilizzo di tutte quelle pratiche agronomiche atte a favorire la vigoria e resistenza delle piante coltivate (per esempio le rotazioni e le consociazioni colturali che si praticano nell'orto o nei frutteti).

Tornando alla lotta integrata voglio portare un esempio a mio avviso di assoluta importanza:
il TRICHODERMA. E' un genere di funghi presenti nei suoli a ogni latitudine, molte specie sono simbionti opportunisti in grado di stabilire una relazione mutualistica endofitica con diverse piante. La sua azione si esplica principalmente come antagonista di altre crittogame come Phythium e Oidium. Molte piante carnivore traggono vantaggio dall’utilizzo di questo fungo al posto di trattamenti anticrittogamici sistemici, impedendo l’insorgere di malattie a volte letali (per esempio Phytium su Sarracenia ). Citiamo altri microorganismi facenti parte della rizosfera, ugualmente utili: Glomus spp., Streptomyces spp., Bacillus spp., ecc..
L'uso e l'interazione di questi microorganismi con le radici fa si che le piante crescano prima e più sane sviluppando una vigoria tale per cui sono meno soggette agli attacchi di malattie. tutte le piante coltivate in vaso, negli orti e nei giardini, oltre che quelle da reddito, traggono enormi giovamenti con la lotta integrata portando ad un minor consumo di medicinali con conseguente vantaggio per l'ambiente e per la salute.

13- CITES e LISTA ROSSA IUCN
- CITES
è una convenzione internazionale firmata a Washington nel ‘73. Ha lo scopo di regolamentare il commercio internazionale di fauna e flora selvatiche in pericolo di estinzione. Riguarda il commerciodi esemplari vivi o morti, o solo parti di organismi o prodotti da essi derivati, mirando a impedire lo sfruttamento commerciale delle specie in pericolo (prima causa di estinzione, seguita dalla distruzione dell’habitat).
La CITES è parte delle attività ONU per l'ambiente, La sua attuazione è a carico dei singoli Stati partecipanti. Attualmente hanno aderito alla convenzione 182 stati membri dell’ONU, In Italia la
convenzione è in vigore dal 1980.
-LISTA ROSSA IUCN
La LISTA ROSSA dell' Unione Internazionale per la conservazione della Natura è stata istituita nel 1948 e rappresenta il più ampio database di informazioni sullo stato di conservazione delle specie animali e vegetali di tutto il globo terrestre.
Si basa su precisi criteri di valutazione del rischio di estinzione di migliaia di specie e sottospecie. Una serie di Liste rosse regionali vengono prodotte ogni anno per le organizzazioni e gli enti statali, ai quali spetta il compito di gestire a livello politico e strategico le informazioni ricevute . I
criteri e le categorie sono stati messi a punto nel corso degli anni.
Gli obiettivi vengono rivalutati ogni lustro o decennio. Questo viene fatto tramite una revisione paritaria da parte dei Gruppi specialisti della Commissione per la Salvaguardia delle Specie , che sono le vere Autorità della Lista rossa responsabili della classificazione di una specie, di un gruppo di specie o di un'area geografica.
Anche grazie al lavoro svolto per la compilazione e la pubblicazione della Lista Rossa, IUCN è considerata la massima autorità al mondo sullo stato di conservazione della natura.
appendice- CONSIDERAZIONI SULL'AGRICOLTURA DEL FUTURO
Le figure professionali (tecnici e agricoltori) dell’agricoltura moderna, DEVONO INEVITABILMENTE assumersi il ruolo di protagonisti nell’utilizzo di mezzi e prodotti in campo fitoiatrico , con il più basso possibile grado di impatto ambientale. Usare fitosanitari bio, organismi antagonisti e/o predatori di parassiti, associati a tecniche antiche quali la rotazione, l’avvicendamento e la consociazione delle colture, valorizzare le coltivazioni nazionali di essenze tipiche del territorio (come ad esempio alcuni grani antichi) e la biodiversità, nell’ambito degli accordi nazionali e internazionali che regolano la materia, contribuirà in modo significativo a ridurre drasticamente, non solo le sostanze velenose presenti nell’ambiente, ma anche a valorizzare e rispettare cosi come le aree coltivabili, anche le porzioni di territorio ancora incontaminate.
E' infine assolutamente necessario che anche l'utente finale che coltiva un orto, un giardino, una pianta ornamentale in vaso, sia informato e consapevole di questo e sia in grado di percepire l'importanza di consumare cibi il più possibile di produzione locale: l'Italia è il paese che nel mondo vanta la miglior qualità di materie prime destinate all'alimentazione e solo consumando consapevolmente queste eccellenze non scompariranno. Le istituzioni dello Stato dovrebbero organizzare campagne di informazione sfruttando le competenze tecniche di tecnici e agricoltori, esiste già un protocollo UE che indica la via da seguire: la PAC.
LA NUOVA PAC
mira a rafforzare il contributo dell'agricoltura agli obiettivi ambientali e climatici dell'UE;
 a fornire un sostegno più mirato alle aziende agricole di piccole dimensioni;
a consentire agli Stati membri una maggiore flessibilità nell'adattamento delle misure alle
condizioni locali;
a tutelare l'ambiente, il paesaggio e la biodiversità;
a conseguire la maggior protezione possibile nella qualità dell'alimentazione e della salute.


ideato e scritto da Marco Oliosi - tutti i diritti riservati

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